Richard Williamson 2

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La vicenda della scomunica tolta ai seguaci di Lefebvre e del negazionismo di Williamson conferma due cose:

1) La gerarchia cattolica accetta molto malvolentieri che possa sussistere una entità ecclesiale alla sua destra (perché c’è una destra e c’è una sinistra ecclesiale). Un po’ come il vecchio PCI non tollerava né considerava legittima qualsiasi formazione intendesse porsi alla sua sinistra. C’è un meccanismo di fondo molto simile, nonostante le differenze. Se in un gruppo di cattolici, aderente alla teologia della liberazione, dei vescovi ordinassero preti e vescovi autonomamente, questi rimarrebbero scomunicati senza troppi problemi. Ma una contestazione del Concilio in nome della Tradizione spaventa il vertice cattolico. Evidentemente esso si sente più fragile rispetto alla critica tradizionalista che rispetto a quella progressista. Questo fa parte del suo DNA.

2) Perché i cattolici tradizionalisti inclinano alla negazione dello sterminio degli Ebrei, o almeno alla sua riduzione nei numeri, tendente a privarlo del suo significato unico? Non è difficile capirlo. Perché la destra cattolica è e rimarrà sempre nel fondo antisemita. L’antisemitismo, o meglio l’antigiudaismo, è uno dei suoi elementi fondativi. Agli Ebrei si vuole riconoscere solo il ruolo di persecutori (di Gesù anzitutto), e vederli come vittime incrina lo schema costitutivo della visione tradizionalistica. Perciò Williamson non è uno sprovveduto che vaneggia, ma porta alla luce qualcosa che giace, più o meno attivo, nella profondità del cuore di molti cattolici. Questo è il risentimento verso la primarietà monoteistica degli Ebrei, e verso la loro ostinazione a non convertirsi. Quando la conversione dell’altro alla mia propria fede è l’unico criterio della sua accettazione totale, allora il suo rifiuto a lasciare la sua identità, che costituisce la sua alterità rispetto a me, è la causa del mio rifiuto a riconoscere la sua piena e legittima umanità. Perché se io gli propongo il bene incondizionato e lui lo rifiuta, allora egli è prigioniero del male, e col male non si può dialogare. Da questo alla sua catalogazione come nemico, e alla sua riduzione a capro espiatorio, il passo è breve. Perciò per i cattolici anticonciliari gli altri sono persone da convertire o da combattere. Ma questo punto, in verità, è cruciale per l’interpretazione non solo del tradizionalismo ma dell’intero Cristianesimo.

14 pensieri su “Richard Williamson 2

  1. Condivido il primo punto, ho qualche riserva sul secondo.
    Vero che l’antigiudaismo sia stato costitutivo della teologia cattolica, non già solo quella tradizionalista, almeno sino a prima del Concilio Vaticano II, ma che detto antigiudaismo alligni in una sorta di invidia per la primogenitura del monoteismo ebraico lo ritengo improprio. Non si è mai fatto mistero, prima del Concilio intendo, delle ragioni dell’antigiudaismo, si parlava di deicidio, e antiteticità dell’essere ebraico rispetto al cristianesimo, ma mai di lesa maestà per il monoteismo.
    Va poi da sè che, se si ritiene di credere la Via la Verità e la Vita, non si possa del pari riconoscere le altre “opzioni” religiose parimenti praticabili. Dal che ne viene che l’auspicio alla conversione per l’altro sia un corollario, auspicio appunto, non imposizione. Un rapporto che si volesse veritativo e rinunciasse all’auspicio della conversione sarebbe falso. Ma questo non è appannaggio del solo Cristianesimo, ma di qualunque fede che si pensi come vera.

    Poi ci sarebbe il capitolo sul revisionismo, e il diritto di non conformarsi alla vulgata storiografica dominante (ove si avessero riscontri documentari diversi), visto che il credo non recita ancora: credo la Shoah una santa cattolica e apostolica… ma questa è una questione laterale, in effetti.

    Un saluto

  2. Caro Giampaolo, quando parlo di “risentimento verso la primarietà” non parlo di qualcosa di esplicitato, e neppure di qualcosa di cui si sia coscienti. Il risentimento alligna in strati profondi della psiche collettiva, e si manifesta in varie forme, tra cui anche visioni teologiche come quella incentrata sul deicidio commesso dai Giudei, sempre dominate dalla funzione del capro espiatorio.

    Quanto al dialogo con l’altro, io non sostengo che il problema sia posto dal mio credere in una verità differente dalla sua, ma da un punto preciso, ovvero quando “la conversione dell’altro alla mia propria fede è l’unico criterio della sua accettazione totale”. Insisto: il dialogo non si può avere non quando io cerco di convertire l’altro alla mia fede, ma quando la sua conversione è l’unico modo che io offro all’altro perché possa essere accettato pienamente come uomo.

    Quanto alla Shoah, bisogna accuratamente distinguere. Certo essa può essere utilizzata in senso ideologico, ad esempio per giustificare ogni azione dello stato di Israele, può essere eretta a mistica, ecc., ma asserire che sia un prodotto della “vulgata storica dominante” mi pare estremamente problematico. Allo stesso modo, potrei dire che i campi di lavoro staliniani sono stati una mostruosità secondo la vulgata storica, ma forse non sono esistiti. Di più, potrei dire che secondo i i riscontri documentari di alcuni ricercatori i bombardamenti inglesi sulle città tedesche sono stati solo un’invenzione della propaganda del Terzo Reich, ecc.
    Negare la persecuzione generalizzata e totale degli Ebrei nell’Europa occupata dai nazisti significa essere preda del risentimento antigiudaico e, in ultima analisi, pensare agli Ebrei come ad un popolo costituzionalmente menzognero. Infine, dunque, pensarla come i loro persecutori.

  3. Caro Fabio,

    I tuoi rilievi sono senz’altro pertinenti, e per molti versi centrati.
    L’atteggiamento di cui tu scrivi, annidato in profondi strati della psiche collettiva, è senz’altro esistito e probabilmente perdura, ma è stato parimenti ricusato come eresia nel marcionismo, ancorché l’antigiudaismo sia sopravvisuto in altre forme, anche diverse da quelle implicate dall’accusa di deicidio. Diciamo che da quando il giudaismo non ha più avuto la Torah come testo base, ma vi ha per lo più sostituito il Talmud, non proprio tenero nei confronti di Cristo, da lì in poi si sono accumulati diversi elementi storico-teologici per lo sviluppo dell’antigiudaismo, se poi questi siano emersi dominati dalla dinamica del capro espiatorio, non saprei dire, ne vedo però la genesi storica.

    Quanto alla conversione, ritenuta necessaria per la salvezza dell’interlocutore, per quel che so dei documenti papali preconciliari essa non era conditio sine qua non per l’accettazione dell’uomo in quanto tale, ma, semmai, conditio sine qua non per l’esercizio dei pieni diritti di cittadinanza, parlo chiaramente degli statuti premoderni. Oggi invece, con buona pace dei tradizionalisti, essa pare essere stata derubricata dall’orizzonte della prassi ecclesiastica tout court, tanto da non sentirsi quasi più parlare dell’apostolato evangelico, ma tutt’al più si loda il missionario evergetista. E si capiscono le ragioni di certa critica dell’ala “destra”.

    La Shoah sfugge ai criteri della storiografia, dove a mio avviso dovrebbe invece stare, già dal nome che le si impone, che ha un significato teologico preciso nell’ebraismo. Si imposta cioé già una teologia della storia a partire dalla dicitura di olocausto, che lateralizza qualsiasi altro avvenimento congenere, e ne rende problematico lo studio.
    Io ho letto alcuni autori cosiddetti negazionisti, che portano rilievi non banali su certi aspetti della catena di sterminio dati per assodati. Purtroppo, vigendo l’interdetto giuridico per questi studi, nessuno si è mai preso la briga di controbattere a queste tesi, al più se ne incarcerano gli autori, lasciando l’idea che non vi siano contraddittori validi per ciò che viene solo che condannato alla pubblica gogna, e sortendo così peraltro l’effetto opposto a quel che si vorrebbe ottenere.
    Il numero di 6 milioni di vittime ha un valore simbolico nella teologia ebraica, lo storico ebraico Marrou, accreditato e non ritenuto in odor di revisionismo, sostenne che fosse più probabile una cifra intorno ai 4 milioni nei suoi studi in merito. Discutere un tentativo di genocidio, come ve ne furono molti, è cosa fattibile e praticata per lo più nel dibattito storico, blindare la prima versione datane dalle vittime, invece, non mi pare sia storicamente accettabile.

    Buona Domenica

  4. Mi pare evidente come nella tua visione l’antigiudaismo sia riconducibile al modo di porsi dei giudei verso i cristiani, come reazione legittima. Io la penso diversamente, cioè penso che nel corso dei secoli il corpo della Chiesa sia stato permeato di tendenze sacrificali che l’hanno portato a porsi anche come persecutore. E che questo abbia molto a che fare con la persecuzione totale del Novecento.

    Poi, devo rilevare che tu ti muovi sempre sul piano del dettato dei documenti (papali ecc.), mentre io non lo faccio. Del resto, io stesso sono un “evergetista”, ovvero prediligo coloro che fanno il bene rispetto a coloro che vedono come primaria l’ortodossia.

    Quanto alla Shoah, essa deve sfuggire ai criteri della storiografia, perché ha rilevanza teologica anche per i cristiani. Giudico irrilevante il numero dei milioni di vittime. E’ comunque un numero mostruoso. Anche se non fossero esistiti i forni, e ci fosse stata solo la caccia all’ebreo in tutta Europa, e le fucilazioni di massa, questo basterebbe. Il voler ridurre la portata di quel che è accaduto è sempre, inevitabilmente, una espressione di misogiudaismo.

  5. Io mi sono mosso su di un piano storico, tale per cui, nascendo il Cristianesimo dall’Ebraismo, e contraddicendone la sostanza compiendolo, è per certi versi inesorabile che i loro rapporti siano “tesi”. Così come l’identità cristiana ed ebraica si costituiscono in opposizione l’una all’altra.
    Il Cristianesimo arriva dopo, e viene respinto dal giudaismo come corpo estraneo e pericoloso per se stesso (se leggessi a Rabby talk with Jesus, del rabbino Jacob Neusner vedresti come questa dinamica sia molto presente ed esplicita anche oggi presso l’ebraismo), è un fatto storico questo, non una giustificazione alle persecuzioni che ne sono seguite. La persecuzione antisemita del ‘900 ha tutt’altre basi che non teologiche, il razzismo nazista è frutto del darwinismo, distante abissalmente dal pensiero cristiano, non a caso condannato da tutti i pontefici del tempo. In questo fatico a trovare continuità tra la tragedia del ‘900 e la teologia cattolica, ancorchè le due cose possano esser state contigue in certi autori, sono però sostanzialmente differenti.

    Mi sono mosso sul piano della documentaria pontificia perchè della Chiesa si stava parlando. Per fare il bene è necessario sapere cosa il bene sia, anzitutto, per questo l'”ortodossia” non è estranea alla carità, impossibile senza la verità, che in Cristo coincidono, per chi Vi crede. Nel cristianesimo si è spesso tentato di differire le due componenti, dando origine ad eresie cruente, da qui il mio sottolineare l’importanza dell’ortodossia.

    Cosa intendi per rilevanza teologica per i cristiani in riferimento alla Shoah? Per il cristiano l’Olocausto è stata la crocifissione di Gesù Cristo, quel Sacrificio è unico e irripetibile, è blasfemo pensare possa essere ricompiuto. Concordo anch’io che sul piano morale il numero delle vittime sia irrilevante, già uno è troppo, per questo non capisco lo stracciarsi delle vesti nei riguardi di chi presenta documenti attestanti un diverso computo. Se il voler ridurre la portata dell’evento è fatto in forza di diversi riscontri documentari non ci trovo misogiudaismo ma solo la normale indagine storica. Se dal punto di vista morale un morto è già esecrabile, da quello storico la dimensione di un eccidio comporta valutazioni diverse, la prospettiva è storica qui, non morale.

    Spero queste considerazioni non t’infastidiscano, nel qual caso me ne scuso, da parte mia ti ringrazio per il confronto che trovo stimolante.

    Un saluto

  6. Non temere, nessuna considerazione e nessuna critica mi infastidisce.

    Rispondo solo all’ultima parte del tuo commento, per ragioni di spazio.

    Anch’io non amo molto il termine Shoah, e nemmeno Olocausto. Preferisco usare la locuzione “persecuzione totale”. Quella operata dai nazisti ha basi nel pensiero antisemita fiorito per decenni in Europa dalla seconda metà dell’Ottocento e che in Germania si è unito al sentimento “völkisch”, ecc. ecc. fino a produrre la mostruosità del nazionalsocialismo. Tuttavia quella persecuzione totale in giro per l’Europa ha trovato fertile terreno nel sentimento antiebraico fiorentissimo nelle popolazioni cristiane (basta pensare alla Polonia, ma anche all’Ucraina, ecc.). Io non credo affatto che coloro che pensano di ridurre la portata dell’evento lo facciano per ragioni di scrupolo storico. Tra sei milioni e quattro milioni, in ogni caso, non vi è differenza qualitativa, ma tra quattro milioni e 10 persone la differenza qualitativa c’è. Ed è appunto nel concetto di persecuzione totale. Perché gli ebrei sono stati sempre capri espiatori, ma un pogrom isolato è qualcosa di qualitativamente differente da ciò che stato operato da Himmler e soci.

    L’importanza degli eventi che si sono consumati in luoghi come Birkenau per la meditazione cristiana è sottolineata dal discorso che vi ha pronunciato Benedetto XVI nel 2006:

    “Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio – un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? È in questo atteggiamento di silenzio che ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte; questo silenzio, tuttavia, diventa poi domanda ad alta voce di perdono e di riconciliazione, un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa.”

  7. Capisco la tua prospettiva.

    Solo alcuni spunti. La vasta letteratura revisionista è senz’altro anche inquinata da chi pretenda di usare la storia per fini diversi che la ricerca in sé, ma questo, che è il rischio di ogni prospettiva storiografica (Israele coltiva con arte questa pratica scorretta), non è l’attitudine di tutti quegli storici; se ne trovano infatti di ognile latitudine culturale, ce ne sono di comunisti, fascisti, anarchici, ebrei, liberali etc. Ognuno di questi ha chiaramente opinioni e prospettive differenti, nessuno ha mai negato vi sia stata una persecuzione, si ritiene invece essa non abbia avuto la dimensione che si dice sia stata, nè minimizzano a 10 il numero delle vittime.
    Del resto il processo alle intenzioni degli storici è sempre difficile a celebrarsi, meglio a parer mio valutare i fatti di cui si fanno interpreti, e le fonti portate a suffragio.

    Sull’antigiudaismo cattolico devo rilevare che non furono i paesi cattolici ad avere il primato, volendo onorare la storiografia imperante ope legis, nell’attività di sterminio. A parte la Polonia, che si adoperò per la Endlosung solo sotto il tallone nazista, la Germania era quantomeno divisa a metà tra protestanti e cattolici, e questi ultimi hanno costituito l’unica parvenza di resistenza tedesca, Von Staufenberg era cattolico per citarne uno. L’Ucraina era ortodossa, la chiesa ungherese si componeva di parti protestanti ortodosse e cattoliche e queste ultime non erano le dominanti etc. Più in generale, essendosi la guerra per lo più sviluppata in Europa, ed avendo questa radici cristiane, è chiaro che lo sfondo degli eventi fosse cristiano, ma non ci vedo in questo una specificità sterminazionista.
    La differenza tra il pogrom isolato, ancorchè non così infrequente, e il progetto himmleriano è data dalla massificazione e industrializzazione del conflitto. A partire dalla I guerra il numero di non belligeranti morti nei conflitti sopravanza di molto il numero di soldati uccisi, è il lato oscuro della nascente civiltà della tecnica, avente in Hiroshima e Nagasaki (l’unica città cattolica del Giappone per inciso) il proprio epilogo.

    Potremmo discutere delle attitudini storiche al compimento dei Pogrom, di cui esiste testimoninanza anche in aree musulmane, credo che però il risolverle nella sola categoria girardiana del capro espiatorio sia un po’ affrettato. Gli studi di Toaff su questo punto sono ben documentati.

    Che un tentativo di genocidio sia un grave monito di riflessione per la Chiesa è senz’altro vero, che se ne possa dare una lettura teologica è comprensibile, e per certi versi necessario, se ci si crede, ma per quanto grave e significativo un evento del genere non costituisce un evento teologicamente fondamentale, diversamente da quanto invece si fa imponendone una memoria liturgica, questa sì consacrante il popolo ebraico a rango di eterna vittima, per cui nessuna riparazione sarà mai suffciente.

    Saluti

  8. Hehe probabilmente sì, non mancherò di mutare idea laddove incorressi in nuove informazioni, o nel caso il nuovo corso pastorale elevasse la Nostra Aetate a pronunciamento infallibile.. nel qual caso, non potrei che dire, pur con perplessità: obbedisco! (L’essere in compagnia degli altri 263 papi mi conforta)…

  9. Ancora a proposito di negazionismo, quello buono però… oggi sul Corriere si parla di un pesante ridimensionamento dei morti del bombardamento di Dresda, ritenuti da sempre 200.000 ora ipotizzati 18.000. I toni “misurati” del Corriere sono a spiegarci che questa seconda versione non sia già semplicemente un’alternativa storiografica alla precedente, bensì la verità stessa, niente di meno.
    Dunque, ricapitolando, negare o rivedere il numero delle vittime tedesche è cosa buona e giusta, meglio se in occasione della ricorrenza dei massacri, avvenne la notte tra il 13 e il 14 febbraio del 45 il fatto, farlo per le vittime ebraiche è crimine contro l’umanità…

  10. Scusa, Giampaolo: Dresda è stata rasa al suolo davvero, o la sua distruzione mediante un bombardamento a tappeto è stata un’invenzione dei tedeschi miranti a presentarsi come vittime? Perché qui non è in gioco il numero dei morti, è in gioco la realtà dello sterminio degli ebrei. Il vero negazionista è colui che sostiene che lo sterminio sia stata una invenzione degli ebrei, che le camere a gas siano un falso storico, e che dunque gli ebrei stessi siano un popolo costituzionalmente menzognero. Il vero negazionista è un persecutore travestito. Chi “riduce” il numero dei morti di Dresda non lo fa per odio nei confronti dei tedeschi, mentre chi oggi tiene molto a ridimensionare i numeri della strage degli ebrei è, generalmente, uno che non ama gli ebrei (e questo è un dato empirico difficilmente confutabile).

  11. Dresda è stata rasa al suolo, e la maggior parte dei corpi carbonizzati non sono computabili, dal che ogni tentativo di contabilità ne risulta falsato.
    Qui non è in gioco il conto, tu dici, e a me piacerebbe fosse vero, ma “lì” invece il numero è sacralizzato e intangibile. 6 milioni non uno di meno! Tra poco sarà anche articolo del credo cattolico, pare… Non solo, chi di questa memoria sacrale fa speculazione è Israele, che sta compiendo un genocidio parimenti spietato ed inumano nei confronti dei palestinesi, dei cui nessuno si cura, dietro l’unica religione pubblica olocaustica permessa.
    E’ ancor meno confutabile che chi celebra acriticamente questa nuova religione se ne faccia scudo per ignorare le centinaia di risoluzioni onu disattese da Israele, nonché le decine di crimini di guerra da questo continuamente perpetrate.
    Nessun negazionista ha mai negato l’esistenza della persecuzione nazista, mai nessuno. Dire che le camere a gas siano un falso storico non significa negare la filiera della persecuzione, significa semmai ridisegnarne i contorni.
    La questione non è amare o non amare gli ebrei, ci sono ebrei negazionisti e antisionisti la cui onestà intellettuale solo che invidiabile, che non permettono si possa dire che i negazionisti sono eo ipso odiatori degli ebrei. In generale squalificare una tesi facendo riferimento a una presunto psico-patologia di chi la sostiene (odiano gli ebrei) è una strategia di corto respiro. Il problema è semmai capire il distorto uso politico di un fatto storico consacrato come un Dogma, quale che sia il fatto storico in questione.

    Sempre senza polemica.

    Ciao

  12. Dire che le camere a gas siano un falso storico significa accusare gli ebrei di essere un popolo di mentitori organici. E tu lo fai volentieri a causa del tuo viscerale antigiudaismo, che traspare da ogni riga che scrivi. Paragonare l’oppressione dei palestinesi a quel che hanno fatto i nazisti è palesemente assurdo (tra l’altro tra gli ebrei perseguitati non risulta fiorissero movimenti come Fatah, Hezbollah, ecc.). Caro Giampaolo, per me la discussione è chiusa qui, per evidente mancanza di terreno comune. Non amo polemizzare nel mio blog (e nemmeno in quelli altrui). E i botta e risposta prolungati mi tediano. Stammi bene.

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